"…por eso he soñado con una obra que no se encajase en ninguna categoria, que en lugar de pertenecer a un género, los contuviese todos; una obra dificil de definir y que habría de definirse justamente por esa carencia de definición; una obra de la tierra en el cielo y del cielo en la tierra; una obra que fuese el punto de reunion de todos los vocablos diseminados en el espacio cuya soledad y desconcierto no podemos ni imaginar; el lugar, más allá del lugar, de una obsesión por Dios, deseo no colmado de un insensato deseo; un libro, por último, que sólo se entregase por fragmentos, cada uno de los cuales fuese el inicio de un libro."

Tratto da El libro de las preguntas – volumen II di Edmond Jabès, ediciones Siruela, El antelibro III, pagina 261. Trovai questo libro in casa di Didac e lo aprii a caso.

Gli ultimi commenti ...

sabato, dicembre 19

Unità personale




Capita che il traffico ti trattenga al seggiolino passeggeri nell'auto di una persona più grande di te, giusto il tempo per un'efficace trasferimento di esperienze.
Di questo si disserta: verità, sincerità, giustizia, conflitto, evoluzione ed altri argomenti di piccola entità.
Per quanto mi potessi battere per la ricerca di un'unità nella vita, mi sono sempre scontrato con un fatto fondamentale, e cioè che il grande bisogno che si ha di essere accettati in toto dagli altri cozza con il fatto che gli altri non vogliono avere a che fare con "tutto" ciò che sono.
Mi spiego meglio, d'altronde si procede sempre per tentativi ...
Tutti dicono buone cose di me, che sono bravo intelligente, gentile, educato, generoso, poi se un giorno mi rode e dico veramente cosa penso allora è uno scandalo.
Dico sempre "SI" e se dico "NO" vengo combattuto con fucili e cannoni ... soprattutto da chi voglio bene. Una forma di ricatto morale implicito nei rapporti umani, secondo i quali per una stabilità nel tempo una delle parti deve cedere all'altra. O forse non ci ho capito nulla del "compromesso".
Ma come si fa a dire al mondo "EHIIIIIII! IO SONO COSI'!!!", "MI DOVETE ACCETTARE!!!", non ho una risposta.
Negli anni, parti di me (che io definisco "inaccettabili") hanno continuato la loro vita parallelamente, di nascosto e a volte - inutile negarlo - hanno provato ad emergere ... soprattutto in mia difesa.
Ma ti rendi conto? Se sei buono ti tirano le pietre, se sei cattivo ti tirano le pietre ...
Allora con che diritto si condannano Marilyn Manson, Rocker Duck, il Joker, il Diavolo e tutti i "cattivi" di questo mito personale che è la vita? Anzi correggo il tiro dicendo che poi il problema si pone quando la vita e la società non coincidono nello stesso mito, quando i due racconti offrono diverse testimonianze e poi si va in giudizio ...
A questo punto chi è il giudice? Chi è in giuria? Chi è l'imputato? E gli avvocati? Allora aveva ragione Kafka a raffigurarsi in uno scarafaggio, magari sbagliava nel sentirsi in colpa. Dopotutto l'uomo è ben più infestante.
Ok, andiamo avanti, non volevo iniziare dei "giudizi universali".
E' importante a questo punto partire dal mio motto più recente: "Se fossi maleducato sarei sicuramente una persona in gamba".
A pensarci bene dovrei dire "diseducato" ma per semplicità lo lascio così, anche perchè delle regole generali non si applicano mai bene alla praticità della vita ... e con questo voglio solo essere polemico contro la "truffa educativa" a cui siamo sottoposti visto che poi per ricevere i regali di Natale si casca nel tranello del "fare il bravo" ma poi da grandi ci si rimette due volte: scopri che Babbo Natale non esiste e che i "cattivi" (quindi i "mal-educati") ottengono sempre tutto ciò che vogliono. Ma oramai sei stato programmato e quindi ti attacchi al tram ... non serve più che ci siano Mamma e Papà a dirti che non si fa ma addirittura c'è un "chi per loro" dentro la tua coscienza, un sistema operativo simile a Windows che funziona male di proposito.
C'è anche un'altra grande fregatura, quella di credere che ci sia una dualità definita fra male e bene ... MA SVEGLIAAAAAAAAA! E la relatività? E la meccanica quantistica? Ma i filosofi di oggi dormono in piedi? Anzi, mi chiedo e domando ... ne esistono?
Il Bene e il Male non esistono! Esistono se li pensi ... e allora non pensarli!
Poi succede questo, tu combatti contro tutto te stesso con tutto te stesso per migliorarti e cambiare, affronti grandi rivoluzioni e intestini auto-da-fè e poi ... e poi invece di incoraggiarti e di apprezzarti il resto del mondo, soprattutto chi ti è più caro e vicino, non ti capisce, ti crede pazzo, intollerante, rabbioso, insensato.
Frasi come "ma a me non ci pensi?", "si è sempre fatto così", "sono cose di famiglia" e tante altre non dette, ma di cui se ne percepisce la presenza, sono un'indice di questo insopportabile STATUS QUO, di questa pigrizia inerte dell'anima contraria ad ogni cambiamento, di questa paura di rischiare.
Alla fin fine non sto parlando di nulla di eclatante e nemmeno della legittimazione dell'illecito, ma solo ed esclusivamente dell'eliminazione dell'ipocrisia.
Personalmente mi ci sento costretto ad esserlo, costretto a non essere me stesso con i miei desideri per non far soffrire chi ho accanto.
Se dico che Roma fa schifo divento impopolare, se dico che voglio rimanere solo sono uno stronzo egoista, se dico a qualcuno di stare zitto e di non ammorbarmi con delle chiacchere lamentose trite e ritrite allora sono crudele (poi guai a lamentarsi eh?), ma insomma ... tutto il resto di me? tutto ciò che della mia sferica personalità non è incluso nella più gestibile e miope visione bidimensionale che se vuole avere? Ma insomma vi interessa? Vi rendete conto che sto per esplodere? Ci tenete a me così tanto da volermi accettare nella mia interezza e senza timore?
Caro lettore, tu che capiti qui per caso o per tuo curioso masochismo, non darmi una risposta (o un commento) proveniente dal tuo lato "buono/standard", a me interessa tutto il resto.

venerdì, ottobre 23

oltremodo


"vieni qui e specchiati nei miei occhi."
un passo avanti, senza muoversi è già accanto a me. lato destro.
"ma come posso se non sei davanti a me?"
"chiudi gli occhi e guardami."
"oh si, ora ti vedo. ma dove devo guardare?"
"nei miei occhi."
il suo sguardo è uno stagno, con le rane e i fiori di loto. è sera, subito dopo il tramonto. è estate. dietro al salice piangente c'è un rumore di ruscello, appena scosso dal pensiero sono già lì dietro e trovo l'oceano atlantico. sorge il sole ma resta buio.
"che prodigio è mai questo?"
"nessun prodigio, sei tu. siamo noi."
"ho freddo."
"allora cambia idea e compi il passo."
"ma cadrò!"
"solo se vuoi cadere, c'è molto di più da scoprire."
"mi vuoi bene?"
"solo perchè mi ricordi com'ero e come sono. ma fra breve saremo altro ancora, e dovremo lasciarci tutto alle spalle."
"morirò?"
"la mente non conosce la morte, lasciati divorare."
non so come ma mi accorgo di parlare parlare parlare senza dire nulla e il mio maestro non mi ascolta ormai più. Dal mare sorge un drago che con la testa decolla per kilometri su per il precipizio. è infinito, non posso descriverlo ma lo so.
inghiotte il mio capo. non fa male.
mangia il mio tronco. non soffro.
le mie gambe gli saltano in bocca. sono felice. completo.
inizio tutto di nuovo.

sabato, settembre 26

Guardiano di un abisso



Se ci penso non l'abbraccio nemmeno un pò quest'idea: una semiretta. Un imbuto dove in fila attendono numeri da ogni insieme matematico, giunti alla mia porta per bussare e fingersi statue.
"uno, due, tre ...stella!" Ad ogni passo più vicino, senza che me ne accorgessi.
E quando meno te l'aspetti ti senti toccare ... magari tra il "due" e il "tre", o magari alla "s...".
A pensarci non ci si arriva, poi di colpo tocca a te fingerti una statua. Fingerti fermo, senza respiro, senza vita per sorprendere la vita altrui, come altri hanno fatto con te. E non si può sempre contare, non si può sempre vincere.
Sono sul ciglio dell'abisso, di guardia ...
Il mio piccolo abisso che comincia in un piccolo cratere fatto di buio e colla, di sabbia e vettori, di coppie e di archetipi. Il mio piccolo abisso che in un senso è tutto qui, finito ... nell'altro come gli altri: in-fine.
Sentirlo è completamente diverso dall'immaginare un piano visto di taglio, o una semiretta che chiude l'angolo giro di un cerchio senza pari. L'immaginazione solo questo ci da, immagini e null'altro.
E allora lo sento il mio abisso, ci metto le mani dentro e mi lavo il viso con l'assenza che ne sgorga.
E' tutto e il suo contrario il mio piccolo abisso, come fosse un'antipianeta dove la gravità porta in alto e comunque succhia a sè. Allo guardo inizia e finisce, ma potrei percorrerlo all'infinito.
Se iniziassi non terminerei, all'ora sarei minuto. E prima ancora secondo ... ma solo ai miei passi.
La solitudine? Non è un problema quando hai così tanto tempo da imparare a ripiegarlo e ancora e ancora, per tagliare via il superfluo ed ottenerne interminabili girotondi di pupazzi ... innumerevoli copie di me e dell'uomo ideale. tutti identici e sovrapponibili che mi guardano attoniti coi loro occhi ancora da disegnare, come a ricordarmi che non sono come loro. Stringono il cerchio e poi tocca di nuovo a me contare ... "uno, due, tre ...stella!" ad ibitum.
E ogni cerchio è diverso, seppur limitato e senza fine. Ogni percorso si distingue dal precedente ... ed è così che mi insinuo, è così che piego il tempo e me stesso.
Il mio omeopata mi ha chiesto cosa ne penso della morte. Io ho risposto che non mi preoccupa, perchè la morte è anche adesso ed io sono comunque vivo.

O<-<




il cannocchiale

lunedì, agosto 31

pellegrinaggio interiore


Immagina ...
Ausculta ...
Fiuta ...
Gusta ...
Lambisci ...

Sensi che si amplificano solo torturandoli, imprigionandoli ... ormai saturi di società.
La senti anche tu l'onda che circonda la terra in un tenero abbraccio di massa? Ad ogni giro la cresta mi coinvolge. Il popolo della luna attende paziente il permesso del sole. I sensi si sfogano moderati dal pensiero del giorno a venire.
Il Ramadan è il mese del pellegrinaggio interiore, e non sempre il viaggio è sereno. Non sempre la meta è conosciuta. Non sempre gli incontri sono cordiali.

O<-<

lunedì, marzo 23

L'Errore, l'Archetipo, il Demone.



Ora, di fronte ad un foglio elettronico scelgo di lasciarmi andare e conservare tutti i possibili errori di digitazione che il grande caos/caso mi concede …

Un errore (in inglese error) è una transizione dello stato globale del sistema, che non è conforme alla specifica di funzionamento del sistema.

Poche tracce per cominciare ... ma è già qualcosa.
Ci tengo a distinguere fra errore e sbaglio.
Sbagliare è comune ma errare è straordinario. Esattamente! E’ fuori dall’ordinario, fuori dall’ordine, dal prestabilito.
Interessanti teorie enunciano che gli errori sono ‘segni’ di un cambiamento imminente, e tanto più sono frequenti e interconnessi questi segni, questi errori, tanto più sono prossimi i cambiamenti.
E’ sbagliato, o forse meglio dire illusorio, credere nei sistemi stabili a prescindere del loro tempo di esistenza. In natura tutto si svolge in un tempo T o t: Maiuscolo per il tempo definito da un momento A ad un momento B, e minuscolo nello studio dei fenomeni nel tempo inteso nel suo scorrere … negli istanti infinitesimali del loro accadere.

In sintesi, l'affidabilità di un assieme, di un sistema comunque complesso è la misura della probabilità che l'assieme considerato non si guasti (ovvero non presenti deviazioni dal comportamento descritto nella specifica) in un determinato lasso di tempo.

Mi sono buttato sulla ricerca libera di non so che … forse di un lapsus!

Un lapsus è un errore involontario, una distrazione che sopraggiunge nello scrivere o nel parlare. Secondo Sigmund Freud, nella sua teoria psicoanalitica, esso non è casuale, ma rappresenta la manifestazione di un desiderio inconscio che affiora e trova così soddisfacimento. È questo il celebre lapsus freudiano.
In letteratura sono considerati numerosi tipi di lapsus classificati a seconda del contesto in cui sopraggiungono:
Lapsus Linguae: errore della lingua
Lapsus Calami: errore della penna
Lapsus Memoriae: errore della memoria


Il significato è chiaro: siamo esseri umani, e l'errore capita. Capita? Ne siamo sicuri?

Se fossimo completamente razionali, dovremmo commettere pochi errori e questi dovrebbero essere simili ai lapsus linguistici e non sistematici come le illusioni inferenziali. Tuttavia, la dimostrazione che commettiamo degli errori sistematici in alcuni problemi non significa che i nostri processi di ragionamento siano intrinsecamente irrazionali [...].
[...] Le nostre inferenze quotidiane possono essere logicamente valide, senza dover essere per questo attribuite all’applicazione di regole logiche. Tuttavia, dati i limiti della nostra memoria di lavoro, commettiamo degli errori sistematici di ragionamento, come le illusioni [...].
[...] I sistemi sociali che favoriscono opinioni e teorie semplicistiche e granitiche tendono a mal sopportare l’evoluzione: l’esito della fuoriuscita da un ordine sociale potrebbe infatti essere drammatico per tutti i partecipanti. Ciò suggerisce che sarebbe preferibile avere un sistema sociale dove vengono segnalati molti e frequenti “errori”: questo sarebbe un indice di una “società aperta”, che sopporta senza eccessivi traumi le continue proposte di cambiamento, favorendo l’evoluzione di nuovi ordini. Tra l’altro, una evoluzione continua è anche condizione necessaria affinché il successo e il potere non rimangano sempre nelle stesse mani [...].


Mi piace spesso vantarmi con gli altri di avere una coscienza nascosta molto più forte di me, del me esteriore, razionale, lineare, comune, sociale ... un po' come Socrate il suo demone (δαιμων - spirito, sé elevato).
Socrate diceva di avere un daimonion che lo allertava contro gli sbagli (e appositamente non scrivo “errori”), ma senza mai dirgli cosa fare o obbligarlo a seguire i suoi dettami. Egli asseriva che il suo demone esibiva grande accuratezza nei dettagli, più di quanta ne fossero in grado di offrire le pratiche divinatorie del tempo.
Il demone di Socrate è interiore, e nonostante appartenga all'irrazionale, si addomestica con la ragione. Secondo il filosofo bisogna conoscere se stessi. Anche Platone, narrando del suo maestro, scrive che la sacerdotessa Diotima insegna a Socrate che l'Amore non è un Dio, ma bensì un buon demone. E lo stesso voglio credere io dell'Errore. Un'idea. Eureka!
Il demone era, per Plotino, un'altra forma per denominare il Logos Spermatikos, la "ragione seminale" che si diffonde nella materia inerte animandola e portando alla vita i diversi enti. Il logos è presente in tutte le cose, dalle più grandi alle più piccole, garantendo così l'unità razionale dell'intero cosmo.
Logos è un termine greco che, nel corso dei secoli, ha indicato idee e concetti molto diversi, specie nell'ambito della filosofia e della religione: spiegazione, frase, argomentazione, ragionamento, misura, ragione, logica e così via.

Filone Alessandrino riprende il logos della tradizione stoica incorporandolo nella sua teologia e connettendolo al tema biblico della "parola di dio". Per Filone, che si rifà anche al Timeo di Platone, dio è trascendente rispetto al mondo, e a far da mediatore tra il primo e il secondo è proprio il logos, fonte degli archetipi sulla cui base il mondo viene modellato. Nella dottrina di Filone si riconoscono temi e concetti che poi torneranno nel Cristianesimo, dove il logos compare all'inizio del Vangelo di Giovanni, dov'è identificato con Gesù. Il logos è il tramite con cui dio ha creato il mondo e, incarnato in Gesù Cristo, ne è stato anche il salvatore.
Il termine "logos" in ambito cristiano è tradizionalmente reso in italiano come "verbo", riprendendo con un calco il latino "verbum". Altri traducono con "parola".


E mano a mano, linkando qua e cliccando là, trovo altre tracce, altri segni, altri concetti ... altri archetipi.

Al di fuori del pensiero europeo è possibile rintracciare, con le dovute cautele, termini e concetti che è possibile accostare con diversi gradi di similarità, al logos: il Tao nel pensiero cinese, l'Aum in quello indiana, e il dharma in quello buddhista.

Anche nel campo della scienza il demone appare, a volte semplicemente per giustificare l'assurdità, l'inconcepibile, l'autonoma volontà dei sistemi naturali.
E' il caso del demone di Maxwell, una teoria datata 1876 dove il fisico scozzese James Clerk Maxwell mette in discussione la linearità della seconda legge della termodinamica.
Precedentemente anche Pierre-Simon Laplace, nel 1814, ipotizza l'esistenza di un demone che, conoscendo la posizione nello spazio e nel tempo di tutti gli atomi dell'universo, può prevedere l'intero corso passato presente e futuro degli eventi cosmici attraverso le leggi newtoniane.
Ciò che per la nostra fisica scolastica appare idiota, per la fisica quantistica si rivela essere una delle chiavi centrali per lo sviluppo di nuove teorie sull'intelligenza. Soprattutto perchè uno degli assunti fondamentali è che nessun fenomeno osservabile è indifferente all'osservatore, ma soprattutto nulla è determinabile. Quantomeno l'esatta traiettoria di un elemento subatomico.

La meccanica quantistica afferma che vi sono degli errori intrinseci non colmabili. In particolare un sistema non presenta un unico valore di una quantità misurabile (in gergo, osservabile), bensì che il sistema è caratterizzato da una sovvrapposizione di diversi stati (corrispondenti ai diversi valori della quantità misurata). Quello che si ottiene dalla misura è un valore che dipende da questi stati sovrapposti, dalla loro probabilità e dal valore corrispondente ad ogni stato. Senza entrare nel dettaglio si può dire che il valore ottenuto è un valore medio, dipendente dal tempo. In alcuni casi è possibile realizzare delle apposite misure per conoscere quale sia la probabilità dei diversi stati. Tuttavia il principio di indeterminazione di Heisenberg indica che non è possibile conoscere simultaneamente con incertezza nulla il valore di due quantità coniugate.

Il succo è che molto dipende dalla nostra coscienza: in una serie di bivi consecutivi (in cui la scelta è dubbia – o certa – al 50%) l'esito finale del percorso tracciato dipenderà dalle nostre scelte. Consapevoli o meno che siano, tracceranno un percorso frattale.

Nel corso della storia molti matematici sono arrivati alle loro scoperte inaspettatamente. Lo stesso Mandelbrot afferma di essere arrivato alle sue scoperte per puro caso. Un giorno egli si trovò nella biblioteca dell’IBM dove molti libri che nessuno aveva mai letto stavano per essere spediti al macero. Benoit aprì una rivista a caso e lesse il nome del meteorologo Richarson. Questo nome era già noto al matematico polacco per gli studi che stava effettuando sulla teoria della turbolenza. Richarson era uno studioso bizzarro ed eccentrico che era solito porsi domande che nessuno altro avrebbe mai formulato. Queste sue stramberie risultarono nell'anticipare scoperte che alcuni studiosi realizzarono nei decenni successivi. Nel libro Richarson si preoccupò di misurare la lunghezza delle linee costiere su scale differenti. Mandelbrot fotocopiò il disegno che descriveva queste misure e lasciò il libro dove si trovava per riprenderlo il giorno seguente, ma il libro sparì. Il disegno servì al matematico per formulare la teoria dei frattali perché faceva riferimento a qualcosa che noi tutti conosciamo, le coste. Mandelbrot si rese così conto che tutti gli studi effettuati da lui stesso avevano qualcosa in comune seppur spaziavano in discipline completamente differenti. Il modello di partenza era lo stesso: Mandelbrot si preoccupò di definire l’apparente caos insito in essi.

Ad esempio Michael Talbot sostiene l'esistenza di un potere “reality-structurer” della nostra coscienza (Michael Talbot, “Mysticism and the new physics”, London, Bantham, 1981).
E per collegare insieme questa rete di informazioni uso un trucco che ho imparato anni fa. Mi rilasso, chiudo gli occhi e associo liberamente per suono, per esperienza, per lettura, per fortuna, per errore ... pratico l'errare come metodo. In questo caso è un errare linguistico e filosofico, ma soprattutto simbolico.
Ho cercato tante volte di spiegarlo ad altre persone, in particolare al relatore della mia tesi di laurea a suo tempo. Inutile, tutti pretendono uno schema, un algoritmo lineare, un testo standard. “Eppure se lo posso pensare ... esiste già!”, mi giustifico da solo. Effettivamente funziona, o almeno mi diverte. Concateno gli elementi della mia piccola rete e mi metto a pescare nell'immaginario.
Fondamentalmente anch'io credo negli archetipi, credo in delle chiavi (quantitativamente limitate) che consentono di aprire delle porte del pensiero. Un alfabeto del logos per comporre frasi vecchie e nuove. Un passepartout per l'immaginario collettivo.
Ed ho il sospetto che l'errore sia una di queste chiavi.
E qui tiro fuori il mio cavallo di battaglia, la mia chiave di volta: Mario Pincherle.
Questo simpatico signore è stato l'unico che con un linguaggio semplice mi abbia spiegato cosa sono gli archetipi. Iniziai ad interessarmi all'argomento perché, appassionato kubrickiano, stavo tentando di conoscere C. G. Jung. Da lì sono poi stato in grado di andare a ritroso seguendo il filo conduttore che mi ha condotto all'errore.
Lo sbaglio è vivere credendo che si possa programmare il presente e il futuro sulla base del passato, poi subentra l’errore e siamo salvi. Si, salvi dall’appiattimento, dal calcolo algebrico, dall’imprinting che la società impone ad ogni nuovo arrivato sul pianeta Occidente.
Lo sbaglio non mi interessa, l’errore mi spaventa … e credo sia perché riconosco dentro di me delle ombre in rapido movimento su uno sfondo di oscurità.
Immagino che chiunque abbia scritto un articolo su questo numero di MOM sia in profondo un apologeta dell’errore che ama scardinare la logica lineare del senso comune … zigzagare senza progettare per linee. Come un rabdomante.
Eugenio Barba scrive:

Quando cerco di appoggiarmi a regole certe mi trovo ben presto sbeffeggiato per la mia ingenuità. Se mi rassegno all'idea d'un mondo assolutamente privo di regole, pago questa mia ingenuità con fallimenti altrettanto radicali. Che c'è, allora, in mezzo, fra la regola e l'assenza di regole? Fra la legge e l'anarchia? Se penso in astratto, sembra che non vi sia niente. Ma la pratica mi insegna che vi è qualcosa che ha insieme i caratteri della regola e quelli della sua negazione. Questo qualcosa in genere lo si chiama errore ed è lui a guidarmi fuori dalla confusione. Riconosco due tipi di errori: solidi e liquidi. L'errore solido si lascia misurare, modellare o modificare fino a perdere il suo carattere di inesattezza, equivoco, insufficienza o assurdità. Si lascia riportare alla regola o trasformare in ordine.
L'errore liquido non si lascia ghermire o valutare. Si comporta come una chiazza di umidità dietro una parete. Indica qualcosa che viene da lontano. Vedo che una certa scena è "sbagliata", ma se sono paziente e non faccio uso immediato della mia intelligenza, mi rendo conto che non va corretta, ma inseguita. Proprio il fatto che sia tanto palesemente sbagliata mi fa sospettare che non sia semplicemente sciocca, ma che segua una sua strada laterale, che ancora non so dove va a finire. La cosa più difficile da imparare è la capacità d'aggrapparsi all'errore, non per rettificarlo, ma per scoprire dove porti.


Eugenio Barba è un maestro folle del teatro. E’ un sacerdote che custodisce il suo tempio con cura da più di quarant’anni. Eugenio Barba riconosce nell’errore un segno dei tempi e dei loro cambiamenti.
Molto probabilmente dovrò riscrivere tutto, ma ho deciso di scrivere sotto pressione … sono le ore 5.35 di domenica 11 Marzo 2007. Sono a casa mia. Con il computer strapieno di softwares aperti e la RAM implorante pietà.
Tutto ciò nella speranza che l’errore si manifesti come un segno del prossimo cambiamento.

BAK

giovedì, marzo 19

Il segreto

Il segreto è bello, seducente, può anche ossessionare.

Il secretum latino deriva dal verbo secerno, che ha il significato di "separare" e che, come ben si vede, non ha nulla a che vedere con il "nascondere". L'etimo suggerisce, quindi, l'esatto significato di "segreto" o secreto per "ciò che è stato separato".

Troppo facile. Magari è più interessante scavare nel proprio immaginario privato e trasformare ciò che era un segreto in qualcos'altro.

Io mi riconosco come individuo solo nella misura in cui sono separato dal resto del mondo. Ne risulta che io sono il mio stesso insondabile segreto. Sono la ghiandola che secerne la mia stessa natura, la mia individualità mettendo il mio secreto a disposizione di tutti. Questo stesso articolo è la mia secrezione.

Chi sa se il parallelismo fra biologia e società può reggere al suggerimento di una ghiandola sociale che secerna il siero, l'enzima della verità delle cose. Professarsi tale ghiandola è fonte di potere, basta pensare alle religioni, alle sette, alle società segrete, ai partiti e le loro ideologie, ai fenomeni letterari, alle case farmaceutiche, eccetera eccetera, tutte entità che hanno bisogno di affermarsi pubblicamente come fonte di verità.

Forse ci diamo anche troppa importanza. Cioè: ma che cosa saremmo noi in fondo? Ma che cosa sarebbe poi, il mondo, se noi andassimo avanti, a spiattellare tutti i nostri segreti? Un enorme talkshow, dove uno potrebbe dire: "E poi a cinque anni avevo fatto questo... per non dire poi che ho combinato quella volta...!" E ne verrebbero fuori le cose più imbarazzanti. Forse verrebbero fuori con una persona cui, dei tuoi segreti, non gliene importa assolutamente niente. E questo sarebbe davvero umiliante. Forse la gente tace i propri segreti proprio perché agli altri individui non gliene importa assolutamente nulla.

Si dice che il pettegolezzo sia un difetto, una piaga sociale, una cosa di questo genere. Insomma: è diffuso parlare male del pettegolezzo, ed è anche giusto parlare male del pettegolezzo, in un certo senso, ma è interessantissimo notare il fatto che esso, a parere di molti, sia uno degli universali antropologici. Il che equivale a dire che non c'è una sola società al mondo che non conosca il pettegolezzo, mentre ci sono le società che non conoscono il fuoco, che non conoscono la ruota. Quindi sembrerebbe far parte proprio dell'essere uomini il fatto di raccontare i fatti altrui o di non farsi soltanto i fatti propri.

Io ho i miei segreti, un altro ha i suoi. E questo, paradossalmente, è proprio quello che noi siamo. Non è quello che c'è di pubblico in noi a definirci come persone, bensì quello che c'è di più segreto.

Siamo noi stessi il segreto. Il nostro essere, la nostra natura. D'altronde il segreto, come concetto, non ha una definizione, semmai è quel luogo filosofico dove si suppone stia la verità coperta da un velo. Il segreto è il velo stesso, è il simbolo della verità. Rappresenta la verità attraverso un vuoto incolmabile.

La natura del segreto è suggerita, mai manifesta. Difatti un segreto è tale perché non “svelato”, un recinto inaccessibile nel mondo della comunicazione. Ed è questo il punto: il segreto esiste in funzione della comunicazione, ne è l'ombra. E come l'ombra il segreto appare quando c'è luce, ovvero quando si punta l'attenzione su un determinato argomento o questione.

La vita potrebbe proprio riassumersi in questo perpetuo divenire del segreto. Una vita è il gesto di “togliere il velo”.

Sapere il perché si confessi un segreto credo dipenda essenzialmente dal fatto che si sia abituati a parlare con la gente. Io credo che sia questo. Noi non riusciamo, a causa delle nostre abitudini a comunicare, a socializzare, la nostra vita interiore. E quindi lo statuto del segreto è davvero paradossale proprio per questo, perché sussistono delle verità che conosciamo benissimo, e non c'è bisogno di dirle, poi però fatalmente si finisce per dirle a tutti.

Allora il segreto esiste a posteriori? Esiste quando non è più? Effettivamente è così. Un segreto non esiste, almeno in teoria, fino a che non viene svelato. Come ogni altra cosa per esistere ha bisogno di un testimone.

Se un segreto esiste al di fuori della sfera comunicativa umana, a noi non è dato saperlo.

Quello che noi abbiamo da dirci, in generale, proviene dal fatto che usiamo delle parole per esprimerci, parole che possono essere fraintese. Se le persone potessero comunicare attraverso il pensiero, senza parole, non si direbbero più niente.

Che cosa realmente uno sia individualmente, questo non lo si può mai dire fino in fondo, perché resta determinato nello stesso modo in cui lo è un segreto. Quello che noi siamo davvero, la nostra reale identità unica irripetibile, eccetera, eccetera, è un vero segreto. Forse è anche un segreto per noi stessi.

martedì, febbraio 24

bellezza e semplicità

Ci sono cose nascoste agli occhi degli indegni, che i grossolani acerbi di spirito non possono estrarre per berne il prezioso succo.
Ci sono lezioni da imparare, o forse è meglio disimparare la superficiale educazione di noi massificati primati.
Ci sono dei processi in corso con i quali si può scegliere di armonizzare o meno ma non ci si può escluderne.
Ci sono nodi che rendono bellezza una corda, e nessuna delle vie è retta.
Ci sono armonie, private o meno, che tutti intoniamo ... ma per ego e paura molti sconcertano.
Non importa, io ci sono. Anche tu. Anche noi.

Archivio blog