"…por eso he soñado con una obra que no se encajase en ninguna categoria, que en lugar de pertenecer a un género, los contuviese todos; una obra dificil de definir y que habría de definirse justamente por esa carencia de definición; una obra de la tierra en el cielo y del cielo en la tierra; una obra que fuese el punto de reunion de todos los vocablos diseminados en el espacio cuya soledad y desconcierto no podemos ni imaginar; el lugar, más allá del lugar, de una obsesión por Dios, deseo no colmado de un insensato deseo; un libro, por último, que sólo se entregase por fragmentos, cada uno de los cuales fuese el inicio de un libro."

Tratto da El libro de las preguntas – volumen II di Edmond Jabès, ediciones Siruela, El antelibro III, pagina 261. Trovai questo libro in casa di Didac e lo aprii a caso.

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lunedì, giugno 2

Capitano! Mio capitano!

E quantunque, di tutti gli uomini, il tetro capitano del «Pequod» fosse il meno dedito a quella specie di vanissima presunzione; quantunque il solo omaggio ch'egli sempre richiedeva fosse l'obbedienza assoluta e istantanea, e non pretendesse che ciascuno si togliesse le scarpe prima di salire sul cassero; quantunque ci fossero volte che, in relazione a circostanze speciali connesse con avvenimenti che in seguito specificherò, egli rivolgeva loro la parola in termini insoliti, o di condiscendenza o in terrorem o altrimenti, pure nemmeno il capitano Achab in nessun modo trascurava le forme e le usanze essenziali del mare.
E forse non mancherete eventualmente di accorgervi che qualche volta dietro a queste forme egli, per così dire, si mascherava, adoperandole di passata per altri e più privati fini che non quelli cui esse dovevano legittimamente servire. Quel certo sultanismo del suo cervello che sarebbe altrimenti rimasto in gran parte inespresso, quello stesso sultanismo s'incarnava, attraverso queste forme, in una irresistibile dittatura. Poiché qualunque sia la superiorità intellettuale di un uomo, essa non può mai assumere una supremazia pratica e utile sugli altri senza l'aiuto di qualche artificio o schermo, che in se stesso sarà sempre più o meno basso e meschino. Ed è questo che sempre trattiene i veri prìncipi dell'impero di Dio dal prendere parte ai comizi elettorali, e lascia i più alti onori che questa atmosfera possa concedere a quelli che si rendono famosi più per la loro infinita inferiorità a quell'occulto pugno d'uomini scelto dal Divino Inerte, che non per la loro indubitata superiorità al morto livello della massa. Una così grande virtù si cela in queste cose piccine, quando un'eccessiva superstizione politica le investa, che in certi casi regali esse hanno conferito potenza persino alla fatuità idiota. Ma quando, come nel caso dello zar Nicola, circonda una testa imperiale la rotonda corona di un impero geografico, allora le greggi della plebe s'appiattiscono avvilite dinanzi all'accentramento mostruoso. E il tragico drammaturgo che volesse dipingere l'indomabilità umana nel giro più ampio e nell'azione più diretta ch'essa possiede non dovrebbe mai dimenticare un accenno, incidentalmente così importante per la sua arte, come quello cui ora si è alluso.
Ma Achab, il mio capitano, si muove sempre innanzi a me in tutta la sua scabra severità di nantuckettese, e in questo episodio che riguarda Imperatori e Re io non devo nascondere che ho soltanto a che fare con un vecchio povero cacciatore di balene e che perciò tutti i maestosi ornamenti e finimenti esteriori mi sono negati. Oh, Achab! Quello che in te sarà grande dovrà di necessità venir strappato ai cieli, pescato nel profondo dei mari e foggiato nell'aria incorporea!

Herman Melville, "Moby Dick. La Balena" - 1851.


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