"…por eso he soñado con una obra que no se encajase en ninguna categoria, que en lugar de pertenecer a un género, los contuviese todos; una obra dificil de definir y que habría de definirse justamente por esa carencia de definición; una obra de la tierra en el cielo y del cielo en la tierra; una obra que fuese el punto de reunion de todos los vocablos diseminados en el espacio cuya soledad y desconcierto no podemos ni imaginar; el lugar, más allá del lugar, de una obsesión por Dios, deseo no colmado de un insensato deseo; un libro, por último, que sólo se entregase por fragmentos, cada uno de los cuales fuese el inicio de un libro."

Tratto da El libro de las preguntas – volumen II di Edmond Jabès, ediciones Siruela, El antelibro III, pagina 261. Trovai questo libro in casa di Didac e lo aprii a caso.

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sabato, settembre 26

Guardiano di un abisso



Se ci penso non l'abbraccio nemmeno un pò quest'idea: una semiretta. Un imbuto dove in fila attendono numeri da ogni insieme matematico, giunti alla mia porta per bussare e fingersi statue.
"uno, due, tre ...stella!" Ad ogni passo più vicino, senza che me ne accorgessi.
E quando meno te l'aspetti ti senti toccare ... magari tra il "due" e il "tre", o magari alla "s...".
A pensarci non ci si arriva, poi di colpo tocca a te fingerti una statua. Fingerti fermo, senza respiro, senza vita per sorprendere la vita altrui, come altri hanno fatto con te. E non si può sempre contare, non si può sempre vincere.
Sono sul ciglio dell'abisso, di guardia ...
Il mio piccolo abisso che comincia in un piccolo cratere fatto di buio e colla, di sabbia e vettori, di coppie e di archetipi. Il mio piccolo abisso che in un senso è tutto qui, finito ... nell'altro come gli altri: in-fine.
Sentirlo è completamente diverso dall'immaginare un piano visto di taglio, o una semiretta che chiude l'angolo giro di un cerchio senza pari. L'immaginazione solo questo ci da, immagini e null'altro.
E allora lo sento il mio abisso, ci metto le mani dentro e mi lavo il viso con l'assenza che ne sgorga.
E' tutto e il suo contrario il mio piccolo abisso, come fosse un'antipianeta dove la gravità porta in alto e comunque succhia a sè. Allo guardo inizia e finisce, ma potrei percorrerlo all'infinito.
Se iniziassi non terminerei, all'ora sarei minuto. E prima ancora secondo ... ma solo ai miei passi.
La solitudine? Non è un problema quando hai così tanto tempo da imparare a ripiegarlo e ancora e ancora, per tagliare via il superfluo ed ottenerne interminabili girotondi di pupazzi ... innumerevoli copie di me e dell'uomo ideale. tutti identici e sovrapponibili che mi guardano attoniti coi loro occhi ancora da disegnare, come a ricordarmi che non sono come loro. Stringono il cerchio e poi tocca di nuovo a me contare ... "uno, due, tre ...stella!" ad ibitum.
E ogni cerchio è diverso, seppur limitato e senza fine. Ogni percorso si distingue dal precedente ... ed è così che mi insinuo, è così che piego il tempo e me stesso.
Il mio omeopata mi ha chiesto cosa ne penso della morte. Io ho risposto che non mi preoccupa, perchè la morte è anche adesso ed io sono comunque vivo.

O<-<




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